ISDE di Viterbo: “Tutelare le risorse idriche anche attraverso interventi di contrasto all’espansione della monocoltura del nocciolo”

“La crisi climatica sta accentuando drammaticamente anche la sempre  minore disponibilità di acqua dolce.

Nel mondo – si legge in una nota dell’Associazione medici per l’ambiente, ISDE di Viterbo – oltre 2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e questo compromette fortemente il loro stato di salute in termini di malattia e morte e segna in modo violento e autoritario i rapporti sociali ed economici.

La sempre minore disponibilità di acqua dolce produce infatti conflitti, come per l’accaparramento di altre risorse:gas, petrolio, metalli pregiati e rari, territori.

L’accesso e la disponibilità di acque salubri, pulite e di qualità per tutti, sono quindi le condizioni necessarie ed indispensabili per vivere in modo sano, in condizioni di Pace e per tutelare e proteggere lo stato di salute di tutte le persone ed in particolare dei bambini e delle generazioni future.

L’acqua pulita e salubre è una condizione fondamentale per la salute perché noi siamo l’acqua che beviamo e quella che mangiamo, attraverso i cibi preparati con essa e gli alimenti nei quali essa è costituente preponderante.

Siamo anche l’acqua che hanno bevuto le generazioni che ci hanno preceduto perché, in forma liquida, gassosa e solida, essa costituisce un ciclo idrogeologico chiuso nel quale gli inquinanti  possono penetrare e persistere.

L’assunzione di acqua contaminata rappresenta quindi un innegabile rischio per la salute di tutti e a maggior ragione per la salute dei bambini e specialmente nel periodo gestazionale a causa di sostanze che possono essere in essa contenute come i pesticidi, i metalli pesanti, microrganismi patogeni, tossine, farmaci, PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), microplastiche – etc.

Sappiamo che l’acqua dunque non è una risorsa illimitata e la sua disponibilità si sta riducendo anche in Europa e in Italia dove assistiamo a periodi sempre più prolungati di siccità. L’acqua dolce sulla faccia della terra è infatti circa solo il 3% del totale e dovrebbe essere protetta con il risparmio e la razionalizzazione della sua distribuzione, con la salvaguardia e il risanamento degli ecosistemi e dei bacini idrici utilizzati per approvvigionamento di acque potabili, con il miglioramento del sistema degli acquedotti, del trattamento delle acque reflue e con il loro riciclo, e con concrete politiche di tutela e risanamento ambientale.

Abbiamo invece in Italia una rete acquedottistica vecchia, per svariati tratti ancora in cemento-amianto, che fa  letteralmente acqua da tutte le parti contribuendo alla perdita di circa il 30-40 % delle acque captate.

Le perdite stimate sono al Nord il 26%, al Centro il 46% e al Sud il 45%.

La provincia di Viterbo perde in media il 47.4% dell’acqua immessa in rete.

Riguardo alla situazione dell’Alto Lazio e in particolare per i bacini lacustri di Bolsena, Vico e Bracciano dovrebbero essere posti in essere interventi tesi a preservare gli ecosistemi di questi laghi e quindi le caratteristiche di idropotabilità delle loro acque che riforniscono  gli acquedotti dei comuni del viterbese, della provincia di Roma e per quanto riguarda Bracciano anche il Comune di Roma.

Purtroppo dobbiamo, anche nella Giornata mondiale dell’acqua, tornare a chiedere una maggiore attenzione ed impegno da parte delle Istituzioni e degli Enti preposti circa le condizioni critiche in cui versano i tre laghi dell’Alto Lazio per diverse situazioni, che vanno dall’eccessiva captazione, come per il lago di Bracciano, fino ai fenomeni di inquinamento per inefficienza di sistemi di depurazione e a causa di attività antropiche circumlacuali e in particolare per le  coltivazioni intensive delle nocciole come per il lago di Vico e come potrebbe accadere anche per il lago di Bolsena. In particolare per i laghi di Vico e Bolsena c’è necessità  di una agricoltura che non contribuisca ai cambiamenti climatici come fanno invece l’agricoltura intensiva e le monocolture, un’agricoltura quindi che non inquini  e consumi oltremodo l’acqua, che non inquini l’aria e il cibo; una agricoltura che sappia riappropriarsi delle conoscenze e dei saperi acquisiti nel corso dei millenni di storia umana, ricominciando a produrre rispettando i naturali cicli della terra, e insieme la dignità del lavoro, tutelando così l’ambiente, il paesaggio e la salute di tutti a cominciare proprio da quella degli agricoltori e delle loro famiglie”.