Capodimonte, “anzichè valorizzare percorsi naturalistici, aprire piste ciclabili e incentivare la cultura, … neanche mettere i secchi per la differenziata”

Capodimonte

Lettera aperta di un cittadino…

«La Tuscia è piena di splendidi paesini, molti di questi sono curati e valorizzati.
Non si può dire lo stesso però di altri, come Capodimonte che, nonostante abbia uno splendido lungolago e una storia, pare un po’ abbandonato a se stesso tra l’incuria generale.

Anzichè valorizzare percorsi naturalistici, aprire piste ciclabili e incentivare la cultura, il turismo e le attività commerciali non si fa nulla, neanche mettere i secchi per la differenziata nelle aree del passeggio.

È triste trovare aree abbandonate che invece sono di estremo interesse come le ex scuderie farnesiane ora chiuse, transennate, piene di erbacce, come da foto scattate alcune settimane fa. Il discutibile restauro non si è mai concluso, ha lasciato però un grande vuoto, qualcosa di non riuscito tra infissi in pvc e porte chiuse, a fine giugno riaperte temporaneamente per un incontro cittadini/ente sul tema della raccolta rifiuti. Eppure Capodimonte potrebbe essere altro, non solo un prato dove abbandonare immondizia e prendere un gelato, gettando con nonchalance la mascherina a terra, il tutto tra attività chiuse e luoghi mai ripristinati.

Già, perchè a fare compagnia alle ex scuderie c’è anche la ex scuola, ora terra di nessuno, lasciata a morire tra calcinacci e un vecchio avviso della caritas. Si parla di covid, di crisi, di impossibilità, come quella di far arrivare il metano in tutto il paesino o come quella di aggiungere la raccolta del legno all’isola ecologica, ma anche solo di aggiustare ciò che è guasto.

Basta fare una passeggiata per notare il raccoglitore dei rifiuti per non residenti perennemente inceppato, aperto, con buste qua e là, oppure la scuola dietro il filo spinato e l’erba alta, ora tagliata in fretta e furia, o la sfilza di cestini accatastati nell’edificio limitrofo mentre la gente sul lungolago intasa di immondizia mista i pochi cestini presenti. E tutto questo si paga, perchè un luogo non curato costa all’occhio alla salute come al portafoglio.

Mi chiedo – osserva un cittadino – da quanto tempo non si analizza l’acqua dove spesso si rinvengono rifiuti di ogni genere, da quanto non si integra il personale addetto ai rifiuti, perchè pare di vedere sempre le stesse facce, stanche, che vanno qua e là, eppure le tasse si pagano. Possibile che in un paesino di poco più di milleseicento anime non ci siano fondi, bandi e buona volontà? Perchè anche quella serve, per non buttare la maledetta mascherina a terra, non solo lamentarsi.

Mi chiedo se ancora ci siano rifiuti dove nessuno vede, vicino alla fontana a sasso (chiusa insieme a molte altre) nascosti dietro una recinzione, oppure oltre l’isolotto della mergonara. L’elenco è decisamente lungo si va dalla cabina telefonica pericolante, alle strisce pedonali inesistenti o che finiscono sugli scalini, alle strade senza marciapiedi ma con buche ottime per chi ha problemi di mobilità. Cosa si fa per tutto questo? Cosa si fa per cambiare? Per dare un verso alle cose? Magari anche solo educare chi viene qui a non trattare il lago e il prato come un immondezzaio?

Ma alla fine, dopo le polemiche e le promesse, si acquieta tutto, si dà la colpa sempre a chi è venuto prima, ai guai che ha lasciato, alla burocrazia, agli stranieri, ora anche a un virus. Ma ci chiediamo, in questa fiumana di scuse cosa lasciamo alle nuove generazioni?».