QUALE ACQUA PUBBLICA?

acqua pubblica

Se si chiede in giro in quale regime proprietario e gestionale debba essere collocata l’acqua, quella che esce dai rubinetti delle nostre case, probabilmente una percentuale vicina al 100% di cittadini direbbe: acqua pubblica!

L’acqua del Sindaco, altrimenti detta, è quella storica e classica che ancora si percepisce come la miglior gestione, perché comportava costi irrisori, interventi immediati, attenzione alla qualità curata dalle autorità sanitarie locali.

Ma poi alla fine degli anni ’80 si osservò meglio che i costi ridotti o ridottissimi derivavano dal fatto che i Sindaci ed in generale le amministrazioni locali ritenevano l’acqua un bene primario da erogare quasi gratis ai cittadini, tanto che la stragrande maggioranza dei Comuni, in particolare con qualche migliaio di abitanti, non aveva un sistema di contatori istallati, non ne faceva regolarmente le letture, si basava su tariffe forfettarie o su letture e rilevazioni storiche, per non parlare degli acquedotti colabrodo.

Inoltre lo Stato attraverso la cosiddetta fiscalità generale, ogni anni concedeva risorse a fondo perduto per la captazione, le condotte e le fognature.

La depurazione, che Amintore Fanfani in uno dei suoi ultimi governi lanciò come sinonimo di modernità ambientale, era allora nel pieno del suo sviluppo, ma ancora carente in molte province.

E’ con la legge Galli, la n°36/1994, che si mette mano ad una riforma epocale garantendo che “tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche” ed in ottemperanza poi delle direttive UE e prevedendo, all’interno di un complicato sistema istituzionale composto da Ambiti Territoriali Ottimali, forme di gestione attraverso società private di capitali, società miste pubblico privato, società in house, cioè a totale capitale pubblico.

Il passaggio alle Regioni ha comportato subito l’interruzione dei finanziamenti statali e che tutti gli oneri ricadessero sulla tariffa, cioè sui cittadini..

Il sistema ha dilapidato risorse ingenti, non ha consentito quella tutela della qualità delle acque e quella partecipazione dei cittadini che la legge Galli auspicava, con un solo univoco risultato: la crescita, spesso abnorme delle tariffe.

Si continua a discutere anche con toni assertivi ed ideologici, su acqua pubblica e privata, come se lì fosse, nella scelta dell’uno o dell’altro sistema, la chiave risolutiva per un sistema idrico integrato salubre, efficiente ed economico.

Ma una SPA in house, società per azioni controllata dai Comuni, appartiene alla sfera pubblica o privata? Non ha per scopo il profitto, anche se regolato e ripartito?

Questa società poi dipende dall’ATO la cui personalità giuridica è in capo alla Provincia; ciò comporta un sistema di governance farraginoso e politicizzato che non ne favorisce l’efficienza, ma piuttosto l’ingovernabilità e lo spreco.

Ci sono alternative a questo marasma considerando la situazione del Viterbese, notoriamente “ambito debole, visto che ormai la UE ci impone di completare l’adesione dei Comuni che sinora si “sono salvati” sia dall’ATO che dalla Talete,”?

Sì, per esempio creare un ATO regionale con la salvaguardia delle gestioni eccellenti che resterebbero ai Comuni, come già previsto dalla legge, e con la presenza di Roma che con il suo gettito tariffario calmiererebbe sin da subito i costi per i cittadini.

E’ troppo semplice?

Nel frattempo se in una spa entra il capitale privato in quota minoritaria, potrebbe essere una occasione di confronto partecipato e sensibilizzazione ulteriore al tema, piuttosto che un pericolo futuro da scongiurare, considerando che il pericolo è già immanente.

Francesco Chiucchiurlotto