NOMEN OMEN (2)

Giulietta e Romeo

“Oh Romeo Romeo perché sei tu Romeo!? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti. Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu. Che vuol dire “Montecchi”? Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo. Prendi un altro nome. Che cos’è un nome? Quella che chiamiamo “rosa” anche con un altro nome avrebbe il suo profumo. Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa.”

Il genio assoluto di Bill Shakespeare, ci da in questa scena di “Giulietta e Romeo” una summa letteraria profondamente emozionale che travalicando il tempo e lo spazio, che ci separa dalla sua arte e dai suoi tempi, ci da ancora oggi, dopo le emozioni, anche spunti di riflessione e di metafora.

Romeo è il PD e Giulietta è l’Italia, o almeno quell’Italia progressista, generosa, accogliente e libertaria che alligna, o dovrebbe allignare, a sinistra;

Ora lui, Romeo, ha un nome sbagliato perché impedisce ogni rapporto pubblico-privato con Giulietta; nella nostra metafora il nome Partito Democratico è ugualmente sbagliato, per vari motivi.

Intanto il copiaticcio del duo Veltroni-Prodi della scena politica americana in cui la contrapposizione Democratica al Great Old Party Republicano aveva senso in un sistema bipolare, ma che nel nostro, come ebbe a dire giustamente Max D’Alema, tutti i partiti in Italia sono democratici in forza della Costituzione.

Per non parlare dell’altra vera e propria sciocchezza del sistema delle primarie, che mi azzardo a definire, sommessamente citando la Buonanima, “ludi cartacei”.

Enrico Letta, uomo d’onore, non si è reso conto che nei simboli sulla scheda elettorale i partiti e le formazioni politiche avevano indicato il nome del proprio leader: Fratelli d’Italia, Meloni; Lega, Salvini; Forza Italia, Berlusconi; Azione-IV, Calenda; +Europa, Emma Bonino.

Perfino l’ultimo arrivato nella tenzone elettorale, Giggino Di Maio aveva messo il proprio cognome nel simbolo.

Ma Enrico Letta è un uomo d’onore, e quindi ha conservato la tradizione PCI, PDS, DS, PD, di non personalizzare la politica nel partito; il NOI prima dell’IO: grande ed aulica affermazione che si infrange nella compartimentazione rigida delle correnti e nell’articolazione dei cacicchi territoriali, spesso anche a livello provinciale o comprensoriale.

Ma giustamente se avesse messo il suo nome nel simbolo, avrebbe avuto un effetto positivo? Lascio la riflessione a ciascuno, ma do per scontato il suo esito negativo.

Questo è il vero problema del Partito Democratico: non ci sono uomini capaci di rappresentarne la natura, la missione, il destino: nomen omen nemo!

Chi ha oggi il carisma, la cultura politica, la forza d’animo di rischiare se stesso per un obiettivo complicato e difficile come smettere di essere, come ha sancito Goffredo Bettini: “… principalmente il partito dei ceti medi urbani civili e progressisti”, per raccogliere il meglio del socialismo storico e del solidarismo cristiano e scatenare una “lotta” di verità e riscossa dei ceti sociali che mandano avanti l’Italia, con sacrificio ed abnegazione, contro le incrostazioni burocratico familistiche, gli interessi di bottega, i profitti ingiusti di finanza e parassitismo? Non ne vedo nessuno, ma intanto un consiglio: cambiamo nome, poi chi sa?

Francesco Chiuchiurlotto