DESTRA IN POPPA

Elly Schlein

Il voto in Friuli Venezia Giulia non ha costituito la prima notizia nei telegiornali ed anche sui quotidiani non ha fatto l’apertura; Massimiliano Fedriga era scontato che vincesse le elezioni regionali, ed il Friuli dopo la disastrosa cura Serracchiani, Presidente di Regione incagliata in un riformismo tanto dissennato da far dimenticare i fasti di Riccardo Illy e da sfasciare il partito, non riscuoteva interesse più di tanto.
Analisi sbagliata invece: ci sono alcuni spunti non solo di interesse nazionale attualissimi, ma anche di prospettiva, perché delineano una navigazione politica della destra con il vento in poppa (anche in Europa ma con altri contenuti), di cui ci dovremmo occupare e per qualcuno, preoccupare.
Innanzitutto il personaggio Fedriga, riconfermato Presidente (Governatore è improprio e fuorviante) con il 64,2% ed una sua propria lista che balza oltre il 19%, in coordinata concorrenza con quella della Lega di Matteo Salvini, ma anche in rafforzata prospettiva di un partito diverso ed alternativo.
Dopo la LEGA NORD senza NORD, che fu l’intuizione salviniana di un partito populista nazionale, lontano dalle acque taumaturgiche del Po, che aveva sbaragliato tutti nelle urne sino oltre il 30%, si viene affermando insieme al Veneto di Luca Zaia un modello di partito, sicuramente personale, ma con quelle caratteristiche di moderazione e conservatorismo che è stato l’obiettivo non ancora raggiunto della destra, da Berlusconi alla Meloni.
Serietà formale, principi e strategie tranquille e ben articolate, risultati concreti senza trionfalismi o exploit mediatici; una novità non nuovissima, ma che si smarca nettamente dal Ponte sullo Stretto e dalla verbosità estrema e spesso inconcludente del “Capitano” Salvini.
Un secondo spunto di riflessione è che l’astensione nelle competizioni elettorali intermedie a quelle politiche non accenna a rientrare nei termini fisiologici di una buona tenuta democratica: il 45,2% di votanti segna 4 punti in meno dell’elezione regionale del 2018.
Questo ha un enorme valore politico sia per l’accennata tenuta democratica di circa 1,2 milioni di cittadini, ma anche per le condizioni necessarie a vincere le competizioni elettorali.
Infatti vince chi riesce a conservare i propri votanti; vince chi fidelizza il proprio elettorato facendo in modo che, pur rappresentando una percentuale ad una cifra di tutti gli aventi diritto al voto, questa si moltiplichi in modo esponenziale con il calo dei votanti.
Il 64,2% del 45,2 dei votanti complessivi infatti è poca cosa in termini assoluti.
Ultima notazione riguarda il PD ed il suo nuovo Segretario, che non è proprio apparso impegnato in questa competizione elettorale; forse perché data per persa?
L’effetto Schlein che doveva produrre un segnale forte con un ritorno alle urne dei tanti delusi e disamorati dalle beghe PD, non c’è stato, anche se si va oltre il 18,11 dell’altra tornata e si guadagna un seggio.
Dei 100 giorni edittali che tradizionalmente si attribuiscono per il cambiamento di una situazione politica, Elly ne ha consumati un terzo; niente di allarmante per chi ne ha apprezzato l’impatto nel PD, che comunque di fronte ad una destra in movimento con il trend favorevole e la capacità di novità ed adattamento, non può permettersi di perdere tempo.

Francesco Chiucchiurlotto