FIGLI DI PADRE DANTE

Dante

Con quest’accidente di pandemia ci siamo persi la grande bellezza dei 500 anni di Raffaello Sanzio e rischiamo di non apprezzare appieno i 700 di Dante Alighieri.

Nel recente volume omonimo di Alessandro Barbero conosciamo subito Dante l’11 giugno 1289 nella battaglia di Campaldino contro gli aretini, all’interno di una schiera di circa 600 cavalieri, l’èlite guerriera fiorentina, ed egli si cimenta con coraggio ed altrettanta paura, tanto da abbandonare, forse temporaneamente, il campo di battaglia.

Dante dunque visse le ultime fasi di evoluzione del Comune medievale che rappresentava l’egemonia politica della borghesia basata sulle corporazioni, che esprimono il comando con il Priore delle Arti e gli Ordinamenti di giustizia, sino alla forma podestarile nel pieno delle lotte tra Guelfi e Ghibellini (a Firenze poi per non farsi mancare niente, Guelfi Bianchi e Neri).

I Comuni sono polis, città stato autonome che compongono i dissidi territoriali e politici con le armi.

L’art. 5 della nostra Costituzioni “riconosce” le autonomie locali ed i Comuni in primis, come preesistenti ad ogni altra forma istituzionale, Stato compreso; è questa natura politica, appunto da polis, che in Dante non trova consapevolezza perché figlio del suo tempo, sospeso tra cielo e terra con ha interessi ben maggiori tra il Papa e l’Imperatore.

Ma forse vale la pena approfondire l’aspetto comunale di cui egli ci da spunto.

Il Comune nasce come agglomerato urbano autogovernantesi nel mare magnum del sistema medievale dei vassalli, valvassini, valvassori; città libere: o perché fuori dalla portata degli interessi dei feudatari, o perché troppo forti per essere disturbate, i cui cittadini si vincolano, oggi diremmo democraticamente alla base, con vincoli pattizi condivisi e condensati nelle prime forme statutarie.

La fase detta consolare è appunto caratterizzata da Consoli eletti liberamente tra i magnati della città e segna l’ascesa della borghesia mercantile ed artigianale, sino ad una data fondamentale per la storia italiana che è la pace di Costanza, 25 giugno 1183, (data che ANCI dovrebbe celebrare ogni anno come fondativa) che segna la nascita del moderno Comune, che dalla sconfitta dell’Imperatore Barbarossa a Legnano da parte dei Comuni della Lega Lombarda, trasse autonomia politica, normativa, economica e finanziaria.

Sino all’avvento delle Signorie, che chiude l’ultima fase del libero Comune Popolare in cui visse Dante, la frammentazione politica ed istituzionale è al massimo sotto l’egemonia borghese delle corporazioni.

L’apporto che Dante ci consegna nei suoi scritti è enorme e significativo, perché in questo marasma in cui il sangue scorre copioso e la politica si paga con la vita o l’esilio, egli riesce a cogliere, delineare e battezzare l’Italia; l’unitarietà, l’omogeneità, l’identità di una nazione che forse perché perennemente fuggiasco, aveva conosciute e capite.

Quando quindi lancia la tremenda invettiva :” Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” non fa che dimostrare il suo amore incondizionato per una patria non ancora compiuta e tutta la rabbia umana e politica per quella condizione; ma anche dare forse un monito per i nostri giorni.

Francesco Chiucchiurlotto