I COMUNISTI MANGIANO I BAMBINI

Guerra Ucraina

Le elezioni politiche del 21 aprile 1948, che decisero nel primo dopoguerra l’appartenenza dell’Italia all’occidente liberale, atlantico, democristiano, furono contrassegnate da una caratterizzazione propagandistica senza esclusione di colpi: da sinistra l’eroismo rinascimentale garibaldino, le malversazioni dei “forchettoni” democristiani, il valore della Resistenza, il riscatto delle “plebi” lavoratrici sfruttate.

Dall’altra parte i valori democratici, il movimento clerical cattolico di Gedda, le Madonne pellegrine e quelle piangenti, la demonizzazione del bolscevismo e del regime sovietico, che si riassumeva con l’ immagine del comunista trinarciuto e quello che mangiava i bambini.

Questo assunto che i comunisti mangiassero bambini, di per sè iperbole di malvagità e sacrilegio, per noi giovani di extra sinistra degli anni settanta è sempre apparso come porcheria propagandistica senza alcun bisogno di commento o di approfondimento.

Più in la scandagliando i crimini staliniani e revisionando una vulgata storiografica epica ed artefatta ad usum delphini, venimmo a conoscere delle tragedie susseguenti alla rivoluzione d’ottobre, ai crimini inenarrabili di Stalin e del suo regime, ai milioni e milioni di morti che comportarono le fasi di assestamento di un potere che voleva instaurare il Socialismo in un solo paese, la Russia, ma che in definitiva procrastinava con stessi ma più pervasivi mezzi, l’autocrazia monarchica zarista, con annessi e connessi.

Scoprimmo così che i comunisti, o meglio gli abitanti dell’URSS, davvero avevano mangiato bambini: fu una specie di shock perché si trattava, con tanto di documenti fotografici e testimonianze, della terribile carestia che Stalin provocò scientemente nel 1932 e 1933 in Ucraina, “granaio d’Europa” sin d’allora, requisendovi sino all’ultimo chicco il grano, per sfamare le città russe impegnate nella collettivizzazione ed industrializzazione forzata.

Nell’inverno di quegli anni i primi a morire di fame nelle lande gelate dell’Ucraina furono a migliaia i bambini; gli adulti di famiglia, possiamo immaginare con quale stato d’animo, se ne cibarono per sopravvivere; alla fine si contarono in totale dai 5 ai 6 milioni di morti.

Cifre queste mai certamente quantificate se non con l’approssimazione dei calcoli degli ultimi due censimenti attendibili sulla popolazione dell’URSS che registrarono oltre 20 milioni di persone mancanti alla fine della guerra e dello stalinismo.

Gli Ucraini chiamarono Holodomor la violenta, cinica, crudele, utilitaristica operazione di chirurgia sociale che il regime staliniano aveva perpetrato nei loro confronti; ma è difficile da dimenticare quando un male assoluto come quello si abbatte su una nazione e ne colpisce ogni famiglia; quando è uno stato ed un popolo simile e contiguo per lingua, religione, tradizioni, che esercita una violenza così inaudita e spietata.

Così oggi quando dopo il 2014 la Russia di Putin, più Stalin che Zar, invade la Crimea e poi con il regimento Wagner e gli “uomini verdi” della milizie irregolari, fomenta la guerriglia nel Donbass per costruire i pretesti di un intervento, è chiaro che una reazione di irriducibile e nazionalistica portata accomuni una intera nazione, nonostante una sproporzione esagerata delle forze in campo, una conclusione bellica sanguinosamente annunciata.

Quando la storia, i valori umani fondanti, l’essenza stessa di un paese come l’Ucraina e di un continente come l’Europa, divengono materia di campagna elettorale, come vilmente sta accadendo qui da noi, vacilla la ragione, il rispetto, l’amor proprio di essere una nazione.

Si prova un sentimento di ripulsa, di sconcerto e d’impotente stupore, e si teme per il futuro nostro e di chi lasceremo; almeno questo è per me.

Francesco Chiucchiurlotto