Partecipazione e rappresentanza

E’ andato tutto come previsto? I sondaggi sono stati rispettati? Gli andamenti positivi e negativi pure?

Certamente sì: ormai le tecniche di rilevazione delle opinioni e della scelta di voto sono così raffinate che non consentono se non pochi margini di errore.

Conferma anche del traino politico del centro-destra, costituito da Giorgia Meloni e dal suo governo, cui fa da contraltare la confusione nel campo delle opposizioni.

Eppure qualcosa è andata oltre le previsioni: la diserzione dalle urne che ha interessato quasi 6 elettori su 10 è enorme, inusitata, minacciosa.

Segnali in tal senso si sono susseguiti negli ultimi anni, ma sono stati ignorati ed assorbiti dall’opinione pubblica perché non riguardavano le politiche, bensì i Comuni e le Regioni; nessuno ha spiegato e sottolineato, politici e media, l’importanza che hanno le Regioni, dopo la riforma costituzionale, varata con legge n°3 del 18.10.2001, ricevendo nuove prerogative, materie e competenza alle quali hanno corrisposto ingenti risorse finanziarie.

Si correrà ai ripari stavolta? Ne dubito perché la partecipazione è figlia della rappresentanza e contro quest’ultima da un ventennio si è fatto di tutto per edulcorarla, emarginarla, limitarla e rimetterla in sesto sarà dura.

Si deve alla fine della Prima Repubblica con Tangentopoli, e all’onda liquidazionista di Mani Pulite sui partiti, che fu preceduta dal referendum sulla preferenza unica del 9 giugno 1991.

Si innesta qui il fenomeno populista del ventennio berlusconiano, con le suggestioni maggioritarie, le leggi elettorali “porcata”, di entrambi gli schieramenti, il centralismo statuale e regionale, e la verticalizzazione del potere esecutivo, che fa un sol boccone di quello legislativo attraverso i decreti legge ed i voti di fiducia.

La classe politica nel suo insieme ha trovato e trova comodo gestire al proprio interno le dinamiche del potere senza dover rispondere del mandato ricevuto, proprio perché quel mandato non viene dal cittadino elettore bensì dal proprio partito, schieramento, capobastone: fine della rappresentanza.

L’elezione diretta di quelle istituzioni di prossimità, Comuni, Province, ed anche Regioni, ha fatto il resto: “ci si vede ogni 5 anni, che intanto ci pensiamo noi!”

Il clamoroso abbaglio della sinistra e del PD che oggi lamenta la distanza, l’isolamento, l’incomprensione del suo blocco sociale di riferimento è non capire l’importanza delle dinamiche istituzionali, che essi stessi hanno ridotte al minimo; la disintermediazione pianificata dalle riforme Renzi/Boschi/Delrio; l’accorciamento della catena del comando e la sua verticalizzazione esasperata, ci ha portato alla Meloni ed all’autonomia differenziata.

Infine, sempre imputabile al PD, questa sgangherata pantomima mascherata da processo democratico che sono le primarie, alle quali ancora una volta si è affidata una palingenesi improbabile, con un tempo di gestazione omicida, un vuoto, di direzione politica, pari a quello dello sguardo del Dimissionario Segretario Facente Funzioni.

Ma essendo la politica, tra l’altro, l’arte del possibile, siccome il gruppo dirigente del PD le elezioni, quelle politiche del 2022, le vinse prima del voto con l’assegnazione dei collegi garantiti, si trova oggi nella sua integrità, (che il voto di San Valentino ha confermato), è nelle condizioni quindi di effettuare un vero, profondo e positivo cambiamento, che servirà non solo alla sinistra, ma è il caso di dirlo, alla NAZIONE.

Francesco Chiucchiurlotto