SI DICE IN GIRO …

Enrico Letta

Elaborare la sconfitta è come elaborare un lutto; cioè riuscire a passare da stati d’animo negativi e disperanti, ad altri positivi e ricchi di prospettive e possibilità.

C’è chi ci riesce facendosi forte di ricordi, immagini, emozioni affetti; chi invece con uno sforzo di volontà legato ad interessi più materialistici che idealistici.

Non c’è dubbio che dietro il 19% e rotti raccolti dal PD, c’è un risultato che va oltre la percentuale; non tanto il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, ma due considerazioni apodittiche: il PD dal 2018 ha perso oltre 800.000 voti; facendo la somma di tutto ciò che si esprime politicamente al di fuori della “Triplice Alleanza”, il totale va ben oltre i suoi voti, cioè per ipotesi si potevano addirittura vincere queste elezioni.

Ora c’è da riflettere su un dato drammatico ma non serio, (come Hopeless .. but not serious, il film del 1965 di Reinhardt) cioè come dopo ognuna delle sette-otto sostituzioni dei Segretari del Partito Democratico, sia stata seguita da un pianto greco di interventi autorevoli, allocuzioni seriosissime, spunti salvifici, intuizioni mirabolanti, proposizioni autocandidantesi, dichiarazioni standard di chi aveva già avuto ciò che cercava.

C’è un florilegio di tutto ciò che può ispirare una possibile raccolta letteraria, che sancirebbe, stavolta veramente, la fine dell’esperimento veltronianprodiano del PD, inciso sulla pelle di numerose generazioni di sinistra, cui dettero un’adesione dubbiosa.

Intanto Enrico Letta, richiamato da Franceschini (l’imboscato più potente d’Italia) al dovere democristiano di supplenza nelle ore buie di un Zingaretti, che si dimette vergognandosi del proprio partito, a lasciare il bon refuge parisien per il casino italiano e … lo “sventurato rispose” (A. Manzoni)

E lui viene qui a non azzeccarne una nella situazione data: rimanere con residui bellici, con rispetto per la signora, Bonino, Bonelli, Fratoianni, e perdere una prospettiva problematica, ma solida col duo Calenda/Renzi; però dopo aver anche sfasciato il rapporto con i 5S, appoggiando la scissione di Giggino, facendolo in supplenza di un Draghi che lo aveva già prima  chiesto a Grillo: è un capolavoro vicino al harakiri più elaborato e micidiale .

Algido a dir poco, immaginifico a vuoto, con gli Occhi di Tigre e SCEGLI, slogan che facendo il paio con CREDO è il massimo dell’insulsaggine, e che per fortuna l’elettorato ha sanzionato dimostrando almeno un vitale rigurgito di attenzione; ebbene Letta ha tracciato una rotta che contiene un serio e decisivo leit motiv, che però non si è azzardato ad aggettivare e descrivere: l’identità!

Ma che ci voleva a dire che se il Segretario di un partito viene eletto con primarie cui partecipano tutti, anche i passanti annoiati; che se i Capicorrente decidono con accordi trasversali quali siano le loro priorità sulla base dei loro interessi (…); se la classe dirigente è formata da filiere ZTL di parenti, sodali, clientes et laudatores, quasi tutti irremovibili; se i collegi migliori, perché sicuri, vengono attribuiti sulla base di queste logiche.; se i cacicchi provinciali non pensano che a entrare nel primo cerchio di cui Gustavo Zagrebelsky ha descritto da par suo le dinamiche, oltre il territorio: di che identità parliamo???? In 15 anni l’identità del PD è abbondantemente “evaporata” (Recalcati); e noi poverissimi/e militanti di base, elettori/trici fedeli di un sogno antico, reduci di lotte (parolona per pochi) anche dure,  ci siamo abbondantemente rotti/e gli attributi per cui ci identificano, e quindi stavolta: o cose serie o Vaffaday! –

Francesco Chiucchiurlotto