Alla scoperta dei tesori dell’antica Vulci

Vulci

Recentemente, a Tarquinia, all’interno del ciclo di conferenze “Gli Etruschi e il mare”, a cura della Società Tarquiniense d’Arte e Storia presieduta dall’archeologa Alessandra Sileoni, Carlo Casi ha illustrato ad una folta e partecipativa platea le più recenti ricerche e scoperte effettuate nel Parco Archeologico di Vulci di cui l’illustre archeologo è direttore scientifico. Si è trattato di un viaggio affascinante alla scoperta delle necropoli di Poggeto Mengarelli, Ponte Rotto e Osteria attraverso reperti straordinari, talvolta unici nel loro genere, che ci restituiscono frammenti di vita degli antichi abitanti di Vulci in un viaggio a ritroso nel tempo che ha inizio nel IX secolo a.C.

Le tombe dello Scarabeo Dorato, quella della Truccatrice o ancora quella, famosissima, delle Mani d’argento, sono solo alcuni nomi, già in se molto evocativi, che ci parlano di preziose testimonianze, quelle dei corredi funebri, che nel corso del tempo, oltre all’interesse scientifico degli archeologi, hanno attirato inevitabilmente anche quello predatorio e criminale degli scavi clandestini.

Ciononostante, la quantità e l’importanza delle scoperte a Vulci restano una fonte inesauribile di informazioni per gli archeologi che grazie ai rinvenimenti più recenti – alcuni dei quali documentati in “presa diretta” dalla troupe televisiva di “Ulisse” – hanno consentito l’inaugurazione di ben tre esposizioni, tuttora in corso: “Gli ultimi Re di Vulci”, al Museo Archeologico di Vulci fino al 31 dicembre 2021; “Leoni, sirene e sfingi”, mostra diffusa in tre parchi archeologici e quattro museo civici fino a settembre 2021; “Sfingi, leoni e mani d’argento”, al Parco di Vulci fino al 26 settembre.

Facendo un sintetico excursus su alcune delle testimonianze più significative citate da Casi nella sua esaustiva e godibilissima relazione sulla civiltà etrusca, vanno ricordate la tomba di una probabile regina di circa fine VIII secolo a.C., rinvenuta a Poggeto Mengarelli, attorno al cui cranio sono stati rinvenuti i resti di ciò che doveva essere stata una “cuffia” costituita da borchie in bronzo, cuoio e vimini e, accanto ad essa, quella di un uomo, altrettanto importante, sepolto con un corredo di armi in ferro, un materiale all’epoca più raro e ricercato del bronzo, tra le quali è da sottolineare la presenza di una spada che ad oggi rappresenta un unicum nella documentazione archeologica.

Altre testimonianze dell’aristocrazia vulcente di fine VIII secolo a.C., provenienti da Poggeto Mengarelli, sono la tomba di una ragazza di quattordici anni il cui corredo, tra i vari oggetti preziosi, ha restituito due scarabei egizi in oro (si tratta della famosa Tomba dello Scarabeo Dorato) e la tomba di un bambino nella quale è stata rinvenuta un’anfora in argilla con una decorazione rarissima documentata unicamente su un reperto esposto al Louvre, anch’esso proveniente da Vulci, che testimonia la presenza di una scuola di decorazioni nell’antica città etrusca.Tra le testimonianze più recenti di Poggeto Mengarelli va ricordata la sopracitata Tomba della Truccatrice, datata al III-II secolo a.C. che, tra i numerosi oggetti del corredo, ha restituito i resti di una custodia contenente un piccolo cucchiaio e una spatola in bronzo associata a rare perle di terre colorate utilizzate a fini cosmetici, macinate con un pestello di piombo.

Non mancano i casi più “curiosi” come il rinvenimento di tre urne di fine IX-inizi VIII secolo a.C., sempre a Poggeto Mengarelli, di diverse dimensioni: piccola, media e grande, associate rispettivamente al contenimento dei resti di un bambino, una donna e un uomo; o quelli che ci ricordano, allora come oggi, del profondo legame con il “miglior amico dell’uomo” come testimoniano i resti di un cane sepolto con il suo padrone, provenienti da una tomba della necropoli dell’Osteria. E come non ricordare , dalla stessa necropoli, la già citata tomba delle Mani d’argento, dove, tra i numerosi reperti, oltre al celebre rinvenimento di una coppia di mani sapientemente realizzate in lamina di argento e oro, è stata rinvenuta anche l’altrettanto famosa scultura di un leone alato risalente al VI secolo a.C., la cui scoperta si è classificata al terzo posto nella sesta edizione del prestigioso International Archeological Award intitolato alla memoria dell’archeologo di Palmira Khaled al-Asaad.

Altre scoperte significative dalla necropoli dell’Osteria, ricordate nel corso della relazione, sono quelle di una tomba nella quale è stata rinvenuta una coppa che rappresenta uno dei tredici reperti documentati al mondo attribuiti all’opera del Pittore delle Rondini, originario probabilmente di Mileto, che tra il 630 e il 610 a.C. sappiamo essere e operare a Vulci ; e ancora, la tomba di una ragazza di diciotto anni, nel cui corredo, tra gli oggetti di provenienza esotica, troviamo una collana in ambra e un misterioso manufatto di probabile produzione egizia, realizzato in un impasto particolare detto faience, identificato inizialmente come un balsamario, che raffigura un soggetto antropomorfo, in posizione seduta, con un otre dal coperchio in forma di rana posto tra le gambe, di cui sono noti solo duecento esemplari al mondo (uno di questi è presente nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia diretto dall’archeologa Lara Anniboletti). L’oggetto in questione, cavo al suo interno, conteneva l’acqua sacra del Nilo che usciva dalla bocca della rana; il suo utilizzo è documentato in Egitto come augurio di buon anno all’arrivo della stagione delle piene.

Questo tipo di manufatti esotici, unitamente a scarabei rivestiti d’oro, laghinos e terre colorate di provenienza probabilmente egiziana, ambre del Baltico e numerosi altri preziosi reperti rinvenuti nei corredi delle tombe, ci parlano di un mondo lontano i cui traffici commerciali con l’antico scalo portuale di Vulci rappresentano un nodo cruciale per le future ricerche, tutto ancora da chiarire. Il lavoro degli archeologi continua.

Carlo Canna