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FASCISMO E POPULISMO

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Si chiama così, FASCISMO E POPULISMO, l’ultimo prodotto letterario di Antonio Scurati che fa seguito alla saga di M, i tre monumentali volumi su Benito Mussolini: Il figlio del secolo; L’uomo della provvidenza, Gli ultimi giorni dell’Europa.

Scurati si differenzia dai molti storici che hanno trattato l’argomento, per l’impostazione romanzata del racconto, che conserva comunque un rigore storicistico, come alla fine di ogni capitolo testimoniano le riproduzione delle fonti documentali originali dell’epoca.

Inutile dire che questa impostazione innovativa ed accattivante ha contribuito al successo della trilogia, che dovrebbe concludersi con un quarto volume, a cominciare dal Premio Strega del 2019, ed al boom di vendite successive.

Mi è restata impressa come esaustiva sintesi sul Duce, la frase che è riportata in uno dei volumi, quella di Margherita Sarfatti, l’intellettuale ebrea che inventò il DUX e la sua identità totalitaria: “Prima c’era l’Italia; poi Mussolini e l’Italia; infine solo Mussolini!”

Scurati si accinge, in meno di cento pagine, ad aprire un terreno di ricerca che dovrebbe interessare tutti, e che passando dall’Umbero Eco del “ fascismo eterno” del popolo italiano, che lo inventò e lo diffuse in tantissime variabili ed imitazioni, a cominciare dal Nazismo hitleriano, alle attuali contrapposizioni tra democrazie liberali e democrazie autoritarie o peggio democratoriali.

C’è da tempo chiaro che la vittoria del Fascismo del 1922, nato come Fasci di Combattimento a Milano con qualche centinaio di convenuti a San Sepolcro, fù determinata da un sapiente mix di violenza e di seduzione, assassinio e retorica.

La violenza era nell’aria: i 600.000 morti della Grande guerra avevano toccato la maggioranza delle famiglie italiane; quando Lui sale sul camion degli arditi e ne assume la rappresentanza politica, fa una scelta strategica che subito mette in pratica: la violenza contro e sull’avversario risolve in suo favore ogni dialettica, ogni confronto, ogni ragione.

Comunisti e socialisti che predicavano verbosamente la rivoluzione, ma non avevano né armi né piani strategici di presa del potere, solo parole altisonanti e intimidenti, furono spazzati via in due anni, da una violenza capillare, concentrata e programmata.

Ma accanto, il disegno criminale comprendeva un metodo di contatto e di comunicazione  che era assolutamente nuovo: la retorica di ascolto e riproposizione dei luoghi comuni di massa; non avanguardie illuminate per nuove idee o “frontiere” o “sol dell’avvenire”, ma retroguardie attente agli umori peggiori ed alle paure, anche irrazionali, della “gggente”, da interpretare, rilanciare, trasformare in emozione, comunicazione, consenso, voto!

In una parola POPULISMO; così come anche oggi lo conosciamo: dobbiamo a Scurati questa intuizione fulminante che sinora ci era mancata, e che chiarisce meglio quell’”eterno fascismo” di cui parlava Umberto Eco, e che ci fa capire che i pericoli per la nostra democrazia liberale non sono le braccia tese o gli orpelli in orbace, ma la ricerca sistematizzata da un sistema di comunicazione mirato ed imponente,  di un consenso purchessia, la pesca a strascico di ogni opinione ottusa, ringhiosa, semplicistica, l’abbraccio a cause negative ed impresentabili, residuali e marginali, che però fan numero.

In questo, a destra, (poi magari parliamo anche della sinistra), chi è più pericolosamente fascista, Giorgia Meloni o Matteo Salvini?

Francesco Chiucchiurlotto

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