La scuola deve educare non criminalizzare

Liceo Ruffini

Un gesto oggettivamente intimidatorio è quanto accaduto al Ruffini due giorni fa.

Poliziotti, cani antidroga, e arresto di un minore sono azioni che poco hanno a che fare col mondo della scuola. Lezioni interrotte, controlli, perquisizioni e arresto di uno studente minorenne in classe, davanti ai compagni e al docente, condotto via davanti all’intera comunità scolastica (in barba alla privacy e alla tutela del minore!), sono azioni che vanno oltre la sfera della sicurezza e del giuridico. E’ la spettacolarizzazione di un’azione intimidatoria e repressiva che deve essere spettacolarizzata per essere anche esemplare e in quanto tale “educante”, proprio all’interno dell’istituzione incaricata a svolgere con le famiglie, questo compito.

Non vogliamo entrare nel merito del reato (possesso di droghe leggere, SIC!), su cui avremmo molto da scrivere e discutere, ma sul metodo. Il ragazzo non è stato colto in “flagranza di reato” ma è stato cercato, stanato, con il consenso del DS che ha così consentito anche l’interruzione di pubblico servizio. La lezione appunto.

Occorre allora – prosegue Marco Prestininzi – Cobas Scuola Tuscia porsi l’interrogativo sul ruolo della scuola. Su cosa sia una comunità scolastica e su cosa un ambiente educativo. Quei dirigenti che si oppongono alla “bocciatura” di un alunno appellandosi ai BES, Bisogni Educativi Speciali, che vantano di tutelare gli alunni “fragili”, attraverso questi adempimenti “formali”, sono gli stessi che davanti ad un disagio giovanile delegano la propria autorità alle forze dell’ordine denunciando la propria incapacità a gestire le situazioni difficili. Sono gli stessi che promuovono processi di inclusione “formali” perché materialmente incapaci di mettere in piedi situazioni inclusive.

Si poteva fare in altro modo. Si poteva fare diversamente. Si poteva attendere l’uscita degli studenti, mandarlo in presidenza, avvertire i genitori, affrontare il fermo anche con l’ausilio di figure specialistiche ma si è optato per un’operazione senza alcun senso educativo, che viola gli spazi che i ragazzi dovrebbero vivere come propri, che tenta di criminalizzare i giovani e che, contro gli auspicabili interventi di prevenzione e riduzione del danno, propone la sola opzione repressiva.

Queste scene ricordano gli stati di polizia più che le democrazie moderne o uno Stato di diritto.
Invitiamo, pertanto, i dirigenti scolastici ad evitare di far entrare, durante l’attività didattica, la polizia a scuola, attivando eventualmente, con operatori professionali, progetti di prevenzione e riflessione sui comportamenti adolescenziali.
Invitiamo i docenti a lottare per difendere la libertà di insegnamento e l’autonomia della scuola (quella vera…) e a rifiutarsi di interrompere le lezioni, visto che l’operazione -a meno che non sia su mandato di un magistrato- si configura come interruzione di pubblico servizio. Invitiamo i colleghi ad intervenire nei casi critici attraverso strumenti educativi e relazionali e non certamente con comportamenti repressivi che potrebbero rovinare il futuro, già nero, dei nostri studenti.

Invitiamo gli studenti a mobilitarsi contro la repressione e ii tentativo di criminalizzarli ed intimidirli in massa.

Le nostre scuole non sono caserme o discariche sociali, difendiamo la libertà di insegnamento, la libertà e l’autonomia degli spazi educativi contro l’intrusione della polizia nelle nostre aule.

La scuola deve educare non criminalizzare!
Mai più!