Consumi: Confesercenti, italiani riducono risparmio per fronteggiare il caro vita

Reddito

Gli italiani intaccano i risparmi per fronteggiare il carovita. L’Istat conferma l’impatto dell’inflazione sulle riserve delle famiglie. Nel secondo trimestre dell’anno la propensione al risparmio, ormai da mesi tornata sotto i livelli pre-covid, continua a ridursi, perdendo quasi mezzo punto percentuale in tre mesi.  Complessivamente, nei primi 6 mesi di quest’anno la quota di risorse destinata al risparmio è calata di 20 miliardi.

Così Confesercenti in una nota.

Dati, purtroppo, perfettamente coerenti con il deterioramento del clima di fiducia registrato anche a settembre. E che delineano un quadro allarmante: le famiglie stanno riducendo le proprie capacità di risparmio per conservare il livello dei consumi, a fronte di una perdita di potere d’acquisto di acquisto che ancora non si è arrestata: rispetto allo scorso anno, circa 8 miliardi di euro in meno in sei mesi, pari a oltre 300 euro in meno a famiglia.

Inoltre, al debito pubblico che ogni italiano si accolla – circa 48mila euro a testa, in aumento dai 40mila circa del pre-pandemia – si somma anche una veloce crescita del debito privato delle famiglie consumatrici: nel 2023 dovrebbe arrivare a sfiorare gli 11.500 euro pro-capite, circa 1.300 euro in più rispetto al 2019.

Il mix di perdita del potere d’acquisto, riduzione del risparmio e aumento del peso dei finanziamenti non può che avere un riflesso negativo sia dal punto di vista sociale che economico. In questo contesto, la tenuta dei consumi nella seconda parte dell’anno non è assicurata e anche le recenti stime della Nadef su un incremento della spesa delle famiglie dell’1,3% potrebbero rivelarsi fuori portata.Un rallentamento che non può essere ignorato dalla prossima legge di bilancio: anche se i margini di manovra sono ristretti, è necessario intervenire per alleggerire la pressione sui bilanci familiari, anticipando una parte della riforma fiscale. In particolare, riteniamo si possa e debba valutare la detassazione degli aumenti retributivi. Misura che non impatterebbe sul gettito e aiuterebbe i rinnovi contrattuali, in una fase in cui i margini delle imprese non sono cresciuti alla stessa velocità dell’inflazione.