DUE DICIASSETTE

Lama e Chiesa

Tra qualche giorno sarà il 17 febbraio ed avremo due ricorrenze con cui fare metaforicamente i conti e come spesso avviene con gli anniversari, cercare di trarre da riflessioni da essi indotte, alcune considerazioni almeno appropriate ed intelligenti.

La prima in ordine di tempo è il 17 febbraio 1977, cioè i 45 anni dalla “cacciata di Lama dall’università la Sapienza di Roma”, che segnò uno spartiacque importante nella storia del “Movimento operaio e studentesco”.

Accanto alle lotte operaie, e spesso da loro ispirate, ci furono intellettuali e studenti, che svolsero un’azione critica, propulsiva e fors’anche rivoluzionaria, dentro e fuori i partiti della sinistra storica, nella galassia extraparlamentare, da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia, da Democrazia Proletaria a Stella Rossa, da Potere Operaio a Servire il Popolo, dagli Indiani Metropolitani ad autonomia Operaia.

L’Università allora era occupata da due settimane, su contenuti politici propri del movimento del ’77, cioè un magma ribollente con opzioni operaiste dell’Autonomia di Via dei Volsci, le P38 alla facoltà di Fisica, il Potere Dromedario ed il Godimento Studentesco a Lettere.

Fu indetta una manifestazione unitaria delle OO SS dentro l’Università per sbloccare l’occupazione, ed il PCI del compromesso storico, decise di far intervenire Luciano Lama, il massimo dirigente della CGIL e l’uomo più carismatico ed esemplare di cui disponeva.

Sul piazzale della Minerva si fronteggiarono in una bolgia di slogan, grida, canti, invettive, un migliaio di sindacalisti ed operai, ed il triplo di studenti e militanti, sino a che il getto di un estintore scatenò il putiferio, infrangendo la sacralità che la CGIL e gli operai storicamente conservavano, e costringendo Lama a chiudere in fretta il comizio ed ad allontanarsi.

Il sequestro e la morte di Aldo Moro, ed i 15 anni successivi, chiusero la fase movimentista ed operaia, prima con gli anni di piombo, poi con il riflusso ed il liberismo sfrenato.

Poi il 17 febbraio 1992, trent’anni fa, l’arresto in flagrante di Mario Chiesa Direttore socialista del Pio Albergo Trivulzio a Milano, per una tangente di qualche milione di lire, innescò un processo di sconvolgimento dell’intero assetto politico italiano, che chiuse nel ludibrio la Prima Repubblica, ne provocò una Seconda contrassegnata dalla parabola di Silvio Berlusconi, finita la quale ce n’è questa ancora da storicizzare, contrassegnata da populismo, sovranismo, crisi della rappresentanza e dei partiti, e debito pubblico abenorme.

Entrambe le due date quindi contrassegnano dei passaggi epocali che ci fanno riflettere sul nostro carattere nazionale, in continua e magmatica formazione, le cui contraddizioni dialettiche passano sempre per posizioni estreme e violente: dalla lotta armata che drammaticamente ed inutilmente procrastina il ’68, allo stragismo di una parte ignobile dello Stato che da Piazza Fontana, Bologna, Capaci e Via d’Amelio in qualche modo è presente.

Dalla voglia di ordine del PCI di Lama alle odierne manganellate agli studenti di oggi, sintomi di una sinistra senza identità e meta; dal crudele moralismo per Craxi, agli intrighi di Palamara in una Magistratura in disfacimento; dall’ideologizzazione vissuta come tratto di vita per milioni di individui, alla omologazione dei sentimenti, della conoscenza e della relazionalità, sulle piattaforme social web: è una lunga deriva o una precisa costante? La differenza non è poca, è quella tra l’affondare ed il galleggiare.

Francesco Chicchiurlotto