Roberto Talotta: “C’era una volta la Bella Sanità”

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“Dopo ripetute polemiche e proteste – osserva Roberto Talotta – di numerosi cittadini che hanno messo in luce i limiti e le inefficienze di alcuni servizi dell’ospedale di Belcolle, ad iniziare dal pronto soccorso sempre più congestionato e trascurato, che paga amaramente la carenza di posti letto e di operatori sanitari, forse è il caso di intraprendere un viaggio nel passato, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, quando la nostra città vantava una Sanità che era ben più di un servizio; era un punto di riferimento, un faro di efficienza e di cura. 

<<Vi racconto quella che è stata la “bella Sanità”>> potrebbe essere il titolo di questa narrazione con l’auspicio che possa promuovere una concreta azione risanatrice nel tormentato capitolo della Salute Pubblica che, detto tra noi, ha raggiunto livelli non più accettabili.

Un tempo, nel centro di Viterbo, sorgeva l’Ospedale Renato Capotondi Calabresi, lo storico “ospedale vecchio”. Non un’azienda, ma un semplice Ente Ospedaliero; non un Direttore Generale, ma un Presidente onnipresente che convocava e presiedeva il Consiglio d’Amministrazione per garantire la piena efficienza del presidio ospedaliero, a fronte di un compenso mensile dignitoso ma non esoso. 

Questo ospedale aveva in dotazione un adeguato numero di posti letto, tanto che in situazioni di emergenza, l’unico “letto bis”veniva posizionato nella spaziosa sala della chirurgia e non nei corridoi dove l’intimità del ricoverato è tutt’altro che rispettata. Dotato di tre sale operatorie sempre funzionanti, non conosceva lunghe liste d’attesa per gli interventi.

Nel vecchio ospedale, la Medicina era affidata al professor Fabiani, la Chirurgia al dottor Capostosti, l’Ortopedia al professor Masini, la Pediatria al professor Cordelli, l’Ostetricia al dottor Camusi, l’Otorinolaringoiatria al professor Marcucci, la Cardiologia al dottor Serra, la Rianimazione al professor Grifoni, e molti altri reparti guidati da medici di prestigio.

In quel luogo, infermieri e operatori sanitari, in numero adeguato perché non c’era il blocco delle assunzioni, si prendevano cura dei pazienti in modo impeccabile, garantendo anche il benessere sotto il profilo alberghiero. Le visite dei parenti ai malati erano organizzate con fasce orarie soddisfacenti e il Pronto Soccorso, senza triage, riusciva a gestire con celerità ed efficienza sia le urgenze che le prestazioni di routine.

I sindacati collaboravano al fine di tutelare i diritti dei lavoratori e garantire le necessità di servizio. Quotidianamente, la cucina interna all’ospedale, preparava cibi genuini, come il forno sfornava pane fresco e persino un buon bicchiere di vino faceva parte del vitto dei malati che non presentavano restrizionidietetiche.

L’ospedale vecchio offriva conforto religioso e anche servizi extra,come il barbiere, che si associava agli infermieri che assicuravanotutte le necessità personali del paziente: dal bagno a letto, al taglio delle unghie, dall’igiene orale e a tutto ciò che riguardava la pulizia della persona.

Coperte e farmaci non mancavano mai, e qualsiasi guasto alle apparecchiature o agli impianti era tempestivamente risolto da una squadra interna di specialisti, garantendo risparmi economici e di tempo significativi.

Senza aggiungere altro, quasi verrebbe da dire che è stata descritta una situazione da “favola”, una condizione surreale di “vita ospedaliera”, visto che in pochi decenni sono stati dimenticati e superati tutti i pregi e i meriti di una organizzazione sanitaria che salvaguardava la dignità e la sicurezza dei malati ma, a pensarci bene, il ricordo di quei tempi, dovrebbe stimolare chi di dovere a riflettere sulla possibilità di ritornare a quei livelli gestionali e assistenziali, con investimenti adeguati e progetti lungimiranti. Tutto ciò sarebbe di facile attuazione con un’azione politica finalmente improntata a perseguire un impegno serio e concreto in un settore di vitale importanza per tutta la collettività”.