DEMOGRAFIA CANAGLIA

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La crisi demografica in atto in quasi tutto l’Occidente, ma particolarmente in Italia, non produce attenzione né interesse più di tanto, come se il problema fosse ad libitumrinviabile, oppure trascurabile rispetto ad altre emergenze, mentre rischiamo che esso divenga a breve irreversibile.

“Senza una urgente inversione di tendenza della natalità e un rafforzamento anche nel breve e medio periodo della popolazione in età attiva, il rischio è quello di scivolare inuna spirale negativa che porti ad un continuo aumento degli squilibri strutturali ed indebolisca le possibilità di sviluppo economico e sostenibilità sociale”.

Così ci esorta il demografo Alessandro Rosina che si è occupato specificatamente della Valle d’Aosta, mentre Roberto Volpi, un importante statistico ha analizzato i 278 Comuni italiani con meno di 10 abitanti a Kmq, preconizzandone la loro scomparsa.

Eppure la composizione degli assetti demografici ed istituzionali dei circa 7.904 Comuni italiani non sono altro che la sedimentazione di millenni che ci hanno resi quel che siamo.

L’Italia dei Comuni è stata quella del fulgore globale del Rinascimento ed ancor prima una forma di governo originalissima, a differenza della monarchia francese o dei principati tedeschi; dalla pace di Costanza del 1183, tra i Comuni della Lega Lombarda e l’Imperatore Barbarossa, furono i primi diritti di cittadinanza, ed è stato poi in Italia un fiorire di arti, commerci, finanze, anche se tra guerre e crudeli spargimenti di sangue.

Incredibilmente questo profilo istituzionale non è stato mai valorizzato, anche se la nostra Costituzione all’art.5 “riconosce” le autonomie locali come preesistenti alle altre forme di governo come lo Stato, le Regioni, le Province; anzi ignorato e sminuito.

Così i 278 Comuni a rischio rapida scomparsa, che misurano 16.783 Kmq, più della Campania e quasi come il Lazio, hanno 102.749 abitanti, cioè hanno una superficie molto estesa a fronte di una scarsa quantità demografica.

Eppure si continua nelle leggi nazionali e regionali a ripartire risorse soltanto per abitanti: il criterio della densità abitativa è raramente utilizzato.

Quello che li sta uccidendo è la retorica paternalistica della politica, che non trova interessi elettorali in centri semi spopolati, montani o nelle scomode aree interne, preferendo le periferie congestionate ed invivibili, che essi alimentano spopolandosi.

E si continua a spendere, o meglio a sprecare, su politiche disorganiche, senza senso né costrutto: si è fatta una legge nazionale sui piccoli Comuni nel 2017 e non si è speso ancora un euro; intanto le Regioni  allo stesso modo legiferano con obiettivi mirabolanti di tutela e valorizzazione, con risorse ridicole ed interventi risibili, sprecando.

Il Progetto ITALIAE (quanto ci sta costando?) che mira ad un associazionismo miracolistico seguendo il modello fallimentare delle Unioni di Comuni o della Fusione di Comuni, ignora le Comunità Montane che sono già di per se ai sensi del TUEL, delle Unioni, massacrate da un altro fallimentare modello, quello delle Unioni di Comuni Montani.

La beffa del PNRR con i 20 ml di euro per un solo borgo a Regione, di cui non si comprende la ratio né l’impatto territoriale.

Non c’è percezione né coscienza del fiume di denaro che le Regioni disperdono in rivoli sempre più esigui e capillari, come se la funzione amministrativa non fosse attribuita dalla Costituzione ai Comuni ed alle Province, ed esse dovessero occuparsi di programmazione e coordinamento, e non di spesa.

Vox clamans in deserto? Cui prodest?

Francesco Chiucchiurlotto